Imponente edificio la cui facciata neoclassica si staglia su corso Cairoli e fronteggia il porticato laterale del teatro Ariosto; il prospetto principale è quello che conserva l’assetto originario del progetto. Il corpo di fabbrica ha subito diversi rimaneggiamenti nei secoli. E’ contiguo per posizione geografica alla area del ghetto ebraico che, però, all’epoca della costruzione non esisteva già più, a seguito delle soppressioni napoleoniche. Il palazzo del 1849 è costituito da tre corpi di fabbrica che vanno da corso Mazzini fino a via Gennari. L’area era anticamente occupata dal convento di S. Spirito, cinquecentesco con chiostro e biblioteca e gli interventi voluti da Ercole II d’Este contribuirono a sue parziali demolizioni. I frati ottennero di ricostruirlo su un progetto di Alberto Pacchioni, già impegnato nella fabbrica di S. Prospero, ma furono definitivamente allontanati nel 1783. Sul sito del convento si cominciò a costruire la residenza del governatore della città, del comandante delle armi e del maggiore della piazza. A lavori iniziati, ci furono dei ripensamenti e la fabbrica fu venduta. Il progetto del palazzo neoclassico era di Luigi Croppi, ingegnere, con la supervisione architettonica di Pietro Marchelli, i committenti i fratelli Bonaiuto e Giuseppe Carmi. L’origine claustrale è riconoscibile nella presenza di tre cortili che erano quelli del convento di S. Spirito. Rimaneggiamenti ed interventi vari, cambi di destinazione d’uso hanno inciso sugli spazi cortili che sono stati manomessi ed alterati nell’ impianto. Nel 1953 ci fu una parziale demolizione del palazzo e l’ ala occidentale abbattuta lascia il posto al parcheggio della caserma, perché al n° 8 è sede del Corpo Carabinieri. Al n° 6 ospita l’Archivio di Stato che conserva i documenti sulla città e la provincia a partire già dal 884 d.C. e diversi fondi privati. L’archivio più consistente è quello del Comune. Ci sono documenti interessanti relativi alle soppressioni di corporazioni religiose e di opere pie e 9000 pergamene. La consistenza dei fondi si attesta sugli 84.000 pezzi. Espone, oltre a conservare, una ampia serie di stampe cartografiche locali; a volte si tratta di riproduzioni per evitare danneggiamenti dei preziosi originali. Ci sono interessanti piante e vedute della Reggio fortificata di P. Camuncoli del tardo 1500, una imponente Reggio di Lombardia del G. Sadeler del 1620, altre planimetrie significative redatte da G.A. Bazoli intorno al 1700 e ancora una Reggio di Lombardia, 1817, di Manzotti, Marchelli, Carandini, Gaiani sotto la supervisione di Venturi. La direzione dell’archivio ha avuto cura di allestire una bella stanza dedicata alle mappe storiche più rappresentative del territorio che si susseguono anche lungo il corridoio che affaccia sul retro e sul cortile del palazzo. Sono interessanti le decorazioni pittoriche a tempera nelle sale del piano nobile, oggi preposte ad ospitare uffici e sala di studio che sono accessibili agli utenti negli orari preposti; visite del pubblico sono regolamentate da una richiesta anticipata con accompagnamento del personale. Le parti più significative delle pitture sono le grottesche ed i finti stucchi che incorniciano con sobria grazia i vani ed hanno una bella resa nelle ombreggiature e nella messa a rilievo dei fogliami. Diversamente la qualità della tecnica pittorica è meno raffinata, i soggetti piuttosto convenzionali, muse, scene di caccia, animali. Sono stati ritratti alcuni dei proprietari, uomini e donne, su un soffitto. I colori di sottofondo sono armoniosi e chiari e ben si sposano con la qualità degli ambienti. Il palazzo per essere riadattato ad archivio aveva subito in epoca contemporanea sostituzioni dei solai per migliorare la qualità portante; durante questo ciclo di lavori sono state eliminati tamponamenti, controsoffitti che hanno rivelato le decorazioni, alcune travi antiche tinteggiate in accordo col resto del soffitto. Sono degne di rilievo alcune porte interne bianche fregiate ad oro, di fattura elegante e composta come lo sono i pavimenti, quando non siano stati smantellati o ricoperti, in cui il gioco geometrico di marmi diversi li rende ricchi e pregiati ma non sottrae attenzione alla interezza del vano. Segnaliamo un corridoio tra gli uffici che è stato riconvertito a galleria di ritratti di artisti teatrali, con parità di genere tra uomini e donne e molti di questi soggetti sono reggiani. Maestri e artisti di canto, prosa e ballo che si esibirono in città dalla fine del ‘700 a tutto l’800, riprodotti in incisioni che fanno parte di un archivio depositato nel 1906 dai fratelli Giovanni battista e Pio Vivi, alla cui famiglia il Comune aveva affidato l’ufficio di cassa teatrale, per quasi tutto il XIX secolo. L’atmosfera di questo stretto spazio è gradevole grazie alla presenza di questi numerosi ritratti in bianco e nero con cornici spoglie ma fatte di legnami di qualità e le porte degli uffici sono originali, riadattate nei meccanismi ma conservate nei materiali e nelle finiture di colore. La facciata sul corso è scandita da due livelli principali: uno inquadra il piano terra e il seminterrato e si chiude agli angoli del palazzo con un vigoroso bugnato; l’altro segnala i livelli del piano nobile e di quello superiore. La finitura di colore contribuisce a sottolineare la partitura: si tratta di intonaco tinto grigio alla prima quota e di un denso ocra in quella superiore. Una doppia cornice neoclassica corre come marcapiano lungo tutte le facciate. Le finestre del piano nobile sono sormontate da timpani neoclassici triangolari sostenuti da leggere mensole; quella centrale sovrasta l’imponente portone, si apre su un balconcino e il suo timpano è curvilineo. Il prospetto del palazzo è contraddistinto da tre blocchi e per ognuno è previsto un portone ma il centrale è quello d’onore che disimpegna all’androne e poi al portico e infine al giardino. L’androne è spoglio, se non per la presenza del robusto cancello, della volta a tutto sesto con la simulazione a cassettoni esagonali dipinti, delle grandi porte che si fronteggiano sui muri e sono incorniciate da portali pregevoli, montati da una fila di conci verticali con architrave il cui asse è sottolineato da una voluta a cui si affiancano due tondi a bassorilievo. Il progettista non ha dimenticato di dotarle di zoccolo così come ha fatto sotto i fusti delle colonne nello scalone. Tra campata e campata corre un basamento che sembra trattato a finto marmo rossastro ma è di difficile lettura perché il vano scala necessiterebbe interventi di pulitura. Possiamo dire senza ombra di smentita che la sobrietà neoclassica in questo manufatto sia stata perseguita con successo e il palazzo, al netto degli interventi postumi, è degno di essere goduto come eccellente manufatto architettonico. Lo scalone principale è un volume a tutta altezza, a sinistra dell’androne, ed è misurato nello stile come il resto del palazzo, lo contraddistingue la presenza di due alte colonne ioniche che sostengono il camminamento del piano superiore. Una serie di lesene ioniche muove con levità le pareti che sono spoglie di decori e pitture, la scala è di dimensioni ampie e il corrimano sul lato esterno è pulito ma vigoroso; unica digressione a questa nuda compostezza è l’arco del sottoscala affrescato da una cornice rettangolare con un motivo floreale centrale. La direzione ha spostato un grande modello ligneo del 1773 della Sala Tricolore dentro il vano scala: si tratta di una sezione molto ben eseguita di uno degli spazi più celebrati ed amati dalla cittadinanza, realizzata da Giovanni Benassi su progetto di Ludovico Bolognini. In fondo all’androne, si apre il bel portico con campate a tutto sesto che si affaccia su un giardino ed è stato oggetto di recenti recuperi architettonici. Questo spazio semichiuso è aggraziato ed invitante nel suo rimanere spoglio e in passato, dopo i lavori, ha ospitato alcuni eventi pubblici di natura culturale. Il cortile è di notevoli dimensioni ma la ragione è addebitabile al fatto che di tre corti separate da corpi di fabbrica ne sono rimaste due soltanto, di cui una è nella parte del complesso in uso al Corpo dei Carabinieri. Subito davanti al portico purtroppo insiste una tettoia di legno che funge da protezione alle autovetture dei militari e l’effetto di piacevolezza del luogo si affievolisce scontando la contiguità col parcheggio. Si vedono ancora i resti del caseggiati abbattuti: nel muro di fronte al portico e alla sinistra del palazzo, in cui è rimasta una scarpa di muro. I restauri hanno avuto la qualità di evidenziare l’ingombro dei volumi abbattuti e lo hanno fatto con il cambio di pavimentazione: il chiostro porta un acciottolato mentre i mattoni disposti di costa a spina di pesce inquadrano le porzioni del palazzo che non esistono più. Un cancello in asse al cortile grande immette direttamente nel ghetto, su via Della Volta. Sotto la volta esisteva un portone che di notte veniva chiuso in rispetto delle “disposizione barbare ed insane del cosiddetto Codice Estense contro gli ebrei” e che fu abbattuto in periodo rivoluzionario, ne vennero vendute le parti e i ricavi furono destinati alle famiglie ebree più povere. (da Bagnoli, Reggio in cartolina, pag. 44). I portoni a chiusura del ghetto erano sei e venivano chiusi a catenaccio da preposti portinai prima che arrivasse la ventata di idee nuove della Rivoluzione francese nel 1700 e questa pratica della chiusura del ghetto fosse definitivamente dismessa prima dei tempi bui della seconda guerra mondiale.
v. anche www.archiviodistatoreggioemilia.beniculturali.it
(scheda a cura dell'arch. Rosaria Petrongari, dicembre 2011)